Sindrome di Kawasaki: cos’è, cause e come si cura

Venuta recentemente alla ribalta per le sue correlazioni al Covid-19, la sindrome di Kawasaki è un patologia tipica dell'infanzia: scopriamo di che si tratta, quali sono le cause e le cure

Sindrome di Kawasaki: cos’è, cause e come si cura

La sindrome di Kawasaki consiste in una vasculopatia sistemica a carico dei vasi sanguigni di piccolo e medio calibro, tipica della prima infanzia in quanto colpisce prevalentemente (oltre 80%) bambini di età inferiore ai 5 anni. Dal punto di vista clinico, la vasculite (o vasculopatia) è un’infiammazione dei vasi che può colpire sia arterie che vene e capillari.

Questa patologia fu scoperta nel 1961 da un pediatra giapponese, il dottor Tomisaku Kawasaki, che descrisse il quadro morboso di un bambino di 4 anni ricoverato presso l’Ospedale Croce Rossa di Tokyo. Il piccolo paziente era affetto da febbre persistente, labbra e lingua estremamente arrossate (color fragola), iperemia a livello oro-faringeo, eritema su tutto il corpo accompagnato da desquamazione di mani e piedi e ingrossamento delle ghiandole linfatiche.

Pur essendo diffuso in tutto il mondo, il Morbo di Kawasaki colpisce preferibilmente popolazioni Asiatiche, come Coreani, Giapponesi e Taiwanesi che forse possiedono un gene responsabile di tale predisposizione. La malattia mostra una maggiore incidenza nei maschi rispetto alle femmine, la cui età, come accennato, è solitamente inferiore ai 5 anni; anche le complicazioni, che si manifestano più frequentemente nei bambini, possono avere conseguenze a livello cardiaco.

La febbre persistente è il sintomo principale di questa malattia

La febbre persistente è il sintomo principale di questa malattia

Cause della Sindrome di Kawasaki

Fino ad oggi le cause di questo morbo sono sconosciute, anche se sono stati ipotizzati alcuni fattori predisponenti coinvolti nella sua genesi. Tra questi si citano:

  • infezioni virali che possono aumentare la vulnerabilità del soggetto;
  • stagionalità in quanto i mesi freddi sono quelli in cui l’epidemiologia è maggiore;
  • presenza concomitante di Mycoplasma Pneumoniae, un germe responsabile della polmonite;
  • morbillo sia in atto che pregresso;
  • meningite sia in atto che pregressa;
  • infezioni batteriche a carico di Klebsiella Pneumoniae;
  • mononucleosi in atto.

Il Morbo di Kawasaki non è contagioso e questa certezza conferma in parte la sua componente genetica.

Sintomi della Malattia di Kawasaki

La sindrome di Kawasaki presenta tre stadi successivi, che sono:

  • stadio iniziale: corrisponde alla fase acuta che ha una durata compresa tra 14 e 30 giorni e che esordisce con elevati picchi febbrili (insensibili alle terapie), mancanza di appetito, estrema irritabilità, ingrossamento dei linfonodi che diventano dolenti, arrossamento di labbra e lingua, eritema caratterizzato da macule e papule molto pruriginose (simili a quelle del morbillo). Spesso si manifesta anche un evidente arrossamento della sclera oculare, di mani e piedi
Nel 2020 sono state riscontrate delle correlazioni con il Coronavirus.

Nel 2020 sono state riscontrate delle correlazioni con il Coronavirus.

 

  • stadio sub-acuto: si manifesta con un’attenuazione dei picchi febbrili, con desquamazione di mani e piedi, con aumento della concentrazione delle piastrine nel sangue (trombocitosi), vomito, dolore addominale e diarrea, con la presenza di pus nelle urine (piuria), con forte cefalea e tendenza all’assopimento, con dolore alle articolazioni (atralgia) e frequente comparsa di ittero;

 

  • stadio finale: comprende la fase di convalescenza con un netto miglioramento delle condizioni generali, anche se il paziente si sente ancora estremamente prostrato e stanco; tale fase compare di solito dopo 6-8 settimane dall’esordio della sintomatologia.

Le principali complicazioni derivanti da un’inadeguata (oppure assente) terapia riguardano l’apparato cardio-vascolare, con possibile insorgenza di miocardite, aritmie della frequenza del battito cardiaco, anomalie funzionali delle valvole cardiache (tricuspide e mitrale), pericardite, infiammazione delle arterie coronariche e possibile formazione di aneurismi.

Sindrome di Kawasaki e Coronavirus

Per alcuni aspetti, la malattia di Kawasaki presenta sintomi comuni al Covid-19, soprattutto per quanto riguarda la vasculopatia indotta dal coronavirus che assomiglia in maniera preoccupante a quella tipica del Morbo di Kawasaki.

Alcuni pediatri che prestano servizio presso il pronto soccorso hanno notato come in questo periodo di pandemia da Covid-19 siano aumentate le diagnosi di Sindrome di Kawasaki.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è necessario indagare con attenzione su questa evidenza, per capire se esiste un reale collegamento tra la malattia e il coronavirus che è comunque responsabile di risposte infiammatorie analoghe a quelle della Sindrome di Kawasaki.

La cura prevede la somministrazione di elevati dosaggi di immunoglobuline

La cura prevede la somministrazione di elevati dosaggi di immunoglobuline

Un fattore discriminante sembra essere quello della gravità dei sintomi in quanto i pazienti affetti da forme riconducibili al Morbo di Kawasaki si trovano in condizioni piuttosto critiche, mentre quelli colpiti da Covid-19 mostrano sintomi più lievi e risolvibili in poco tempo.

Terapia della Morbo di Kawasaki

Attualmente la terapia per il Morbo di Kawasaki si basa sulla somministrazione di elevati dosaggi di immunoglobuline, il cui scopo è quello di stimolare la risposta immunitaria del paziente nei confronti dell’agente infettante.

Si tratta di immunoglobuline umane iniettate per via endovenosa associate ad acido acetilsalicilico. Questo mix di sostanze svolge la duplice funzione di mitigare la febbre (acido acetilsalicilico) e nello stesso tempo di stimolare il sistema immunitario a contrastare la diffusione del germe patogeno.

Trattandosi di un quadro morboso di estrema gravità, è sempre necessario il ricovero in ospedale almeno per le prime settimane, anche in considerazione del fatto che quanto più tempestive sono le cure, tanto maggiori diventano le probabilità di completa guarigione.

Continua a leggere su Fidelity Donna