E’ uno degli ingredienti più diffusi nell’industria alimentare, presente in una quantità sorprendente di prodotti che finiscono ogni giorno sulle nostre tavole, spesso anche in quelle dei più piccoli. Viene impiegato per la sua capacità di mantenere una consistenza solida o semisolida, ideale per biscotti, creme spalmabili, snack salati, crackers, pane confezionato, margarine e persino per la frittura industriale.
Nonostante in etichetta possa comparire genericamente come “oli vegetali”, la sua presenza è tutt’altro che rara. Il problema principale risiede nella sua composizione: l’olio di palma è ricco di grassi saturi, in particolare di acido palmitico, una molecola che secondo diversi studi scientifici contribuisce ad aumentare i livelli di colesterolo “cattivo”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha più volte sottolineato come un consumo regolare possa favorire malattie cardiovascolari e coronariche. Nell’olio estratto dal frutto la quota di grassi saturi può arrivare al 50%, mentre nell’olio derivato dai semi tocca addirittura l’80%, percentuali nettamente superiori a quelle considerate salutari. Oltre ai rischi per la salute, l’olio di palma rappresenta anche un problema ambientale. La sua produzione massiccia è tra le principali cause di deforestazione in Paesi come Indonesia, Malesia e alcune zone dell’Africa.
Le piantagioni destinate alla coltivazione di palma da olio portano alla distruzione di habitat naturali, minacciando specie già a rischio e sottraendo territori alle popolazioni locali. Nonostante questi aspetti, molte aziende continuano a utilizzarlo perché si tratta di un grasso economico e stabile, che garantisce lunga conservazione ai prodotti.
Tuttavia, le alternative non mancano: oli di qualità superiore, come l’olio extravergine d’oliva, di girasole o di cocco, risultano più salutari, pur avendo costi produttivi maggiori. Per proteggere la propria salute e quella dei bambini è fondamentale leggere attentamente le etichette ed evitare, quando possibile, alimenti che lo contengono.