Il freddo tagliente dello stadio di Udine sembrava amplificare il peso dell’attesa sul rettangolo verde. Non era semplicemente una partita di calcio, ma un’altra battaglia decisiva nel cammino verso i Mondiali del 2026, con il fantasma dell’ultima clamorosa esclusione che aleggiava sulla testa degli Azzurri.In campo, ogni passaggio, ogni contrasto contro Israele, portava con sé l’eco di una responsabilità enorme: non fallire, non un’altra volta.
La tensione per la vittoria, che doveva essere un imperativo, era eclissata dalla necessità di un risultato che contasse per il destino finale. Sapevano che la qualificazione diretta si giocava su un filo sottilissimo, quasi un miraggio, dominato dalla marcia inarrestabile della Norvegia nel Gruppo I. La capolista, infatti, sembrava irraggiungibile con i suoi 18 punti su sei gare.
Lo stadio, inizialmente cauto, si è acceso al primo ruggito che ha spezzato il silenzio teso. Poi la seconda rete e infine la terza: il tabellone ha iniziato a contare, un netto 3 a 0, un risultato che ha squarciato la pressione, trasformando l’ansia in una liberazione quasi commovente.
Il punteggio ha sancito una cosa fondamentale, un traguardo minimo ma vitale: la matematica certezza di un posto al ripescaggio. La paura di restare completamente fuori dai giochi era svanita in un sospiro di sollievo collettivo: gli Azzurri sono ai playoff.
Eppure, mentre i giocatori si abbracciavano per il secondo posto assicurato, un pensiero inespresso correva veloce sui volti. L’Italia aveva fatto il suo, sbaragliando Israele, ma per il sogno più grande, l’accesso diretto al torneo, ora dipendeva tutto da un altro campo, da un’altra nazione.Il destino finale si sarebbe deciso nelle ultime, drammatiche, due giornate, appeso a una vittoria che non doveva arrivare. Qual è l’unica, folle, condizione che può ancora regalarci il sogno Mondiale? La vittoria per 3-0 a Udine non è stata solo una dimostrazione di forza, ma...