Il killer calabrese che ha colpito Filippo Turetta ce l’ha fatta (2 / 2)

Inizialmente si era parlato di un presunto codice d’onore che aveva spinto Dromì a colpire con un pugno in faccia Filippo Turetta, mentre questa versione sta gradualmente cedendo il posto, tra gli agenti della polizia penitenziaria,  ad un’altra spiegazione.

Questi ultimi,  man mano che passano i giorni e specialmente  alla luce di ciò che è accaduto poche ore fa (di questo vi parleremo a breve), sono convinti che Cesare Gromì abbia colpito Turetta, rompendogli il labbro, per ottenere un trasferimento e andarsene dal penitenziario di Montorio, cosa che aveva peraltro chiesto più volte, ma che era sempre stata negata.

Il detenuto, agendo astutamente, ha aggredito Filippo Turetta, dando vita ad un vero e proprio caso mediatico, e riuscendo nel suo intento. Gromì, stando a quanto fonti interne al penitenziario riferiscono, avrebbe fatto tutto questo per togliersi da una situazione debitoria maturata nei confronti di altri detenuti.

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Da ieri il cinquantenne calabrese non è più rinchiuso   nella casa circondariale di Montorio, ed è stato trasferito al Santa Bona di Treviso, quindi è riuscito nel suo intento. Si tratta di un provvedimento inusuale, ma che forse è stato ritenuto il più  rapido  per risolvere la situazione e non alimentare altre tensioni all’interno delle celle. Cesare ha alle spalle reati come delitto, tentato delitto, rapina e in passato aveva avuto anche qualche contatto con la criminalità organizzata calabrese.

Per tutti questi reati avrebbe dovuto scontare 21 anni, quattro mesi e 29 giorni di penitenziario. Originario di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, in passato collegato anche alle cosche Sergi e Pesce della ‘ndrangheta, era un latitante che trascorreva la maggior parte del suo tempo in Romania per poi rientrare in Italia, esattamente a Bovolone, in provincia di Verona, dove risiedevano il fratello e la madre.