In una tranquilla mattina d’estate, la provincia pavese fu squarciata da un eventoche avrebbe segnato la cronaca giudiziaria per anni. A Garlasco, il velo di normalità cadde con l’arrivo di un’ambulanza, chiamata in circostanze che apparvero da subito anomale.La ricostruzione di quel frangente cruciale, l’istante in cui il fidanzato, Alberto Stasi, allertò i soccorsi, è tornata al centro dell’attenzione.A ripercorrere quei frammenti audio, con un metodo di analisi ben definito, è stata Roberta Bruzzone.
L’esperta ha applicato i rigorosi parametri di uno studio americano, basato su migliaia di chiamate d’emergenza, per estrapolare gli indicatori di verità e, soprattutto, di menzogna.
Per i professionisti del settore, la chiamata di soccorso di un testimone reale segue schemi emotivi precisi, spesso caratterizzati da indicazioni frammentarie, urla o manifestazioni di paura.Ma nell’analisi della registrazione di Stasi, questi schemi naturali non si sono mai verificati.

Si percepisce, al contrario, una narrazione fredda e costruita, intesa a distanziare chi chiamava dall’evento.Secondo l’esperta, questo è il primo, significativo indicatore di un comportamento non autentico all’origine della richiesta di aiuto, un atteggiamento che suggerisce una condotta menzognera.
In quei brevi secondi, l’uomo non si curò affatto delle emozioni, come dimostrano le registrazioni. Si concentrò unicamente sulla scelta di ciò che doveva dire: fornire il meno possibile dettagli utili.La domanda, dunque, è precisa: se l’emozione era assente e l’intento era il distacco, quali furono le incongruenze concrete che smascherarono l’artificio narrativo? Qualcosa di inaspettato davvero e assolutamente gravissimo.