Spesso ci chiediamo quanto possa essere etica la filiera di produzione dei capi di abbigliamento così detti low cost: come fa un certo prodotto a costare così poco? Oltre a controllare da dove vengono prodotti gli indumenti delle più popolari catene economiche (basta leggere l’etichetta) per capire quale possa essere la condizione di chi li produce, restano altre domande da porsi:
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Come viene trattato il tessuto durante la lavorazione? ovvero quali sostanze vengono impiegate, possono essere dannose in primis per noi ma anche per l’ambiente?
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Qual è l’impatto ambientale dell’azienda? Un brand low cost risparmia anche sulle proprie politiche ambientali? Non sempre è così, questo anche rispetto ad altre case di moda più costose.
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Quali sono le politiche del marchio riguardo all’allevamento e allo sfruttamento degli animali per la pelletteria, la realizzazione di capi conteneti piume, pelliccia, pelo, lana e altri materiali di origine animale? A tal proposito sarebbe un’ottima opportunità poter prendere visione delle scelte operate da un’azienda anche in questo campo.
Ecco due esempi tra i brands low-cost più diffusi nel nostro paese che hanno reso manifesto il loro interesse per l’ambiente:
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Il gruppo Inditex, di cui fanno parte molti brand (più o meno) low cost, tra cui Zara, Bershka, Pull and Bear, Stradivarius, Oysho, ha pubblicato sui siti delle relative marche un manifesto riguardo alle proprie politiche ambientali, consultabile online. Sempre sul sito di Inditex si possono leggere le decisioni prese dall’azienda sulla tutela dei lavoratori.
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Il marchio svedese H&M ha lanciato ormai da qualche anno una linea di abbigliamo, la H&M Conscious Collection, che propone capi realizzati in modo sostenibile per l’ambiente e utilizzando tessuti di riciclo. Inoltre H&M promuove il riuso e il riciclo di abiti, raccogliendo vestiti usati nei propri punti vendita (di qualunque marchio) in cambio di un buono sconto di 5€ su una spesa di 40€.