Quando si parla di Sindrome di Rett ci si riferisce a una patologia neurologica che ha origine genetica e che interessa il sistema nervoso centrale. Generalmente, si manifesta durante il secondo anno di vita e comunque entro i primi quattro anni e nei casi più intensi anche nel neonato dopo i sei mesi.
Si registra una maggiore incidenza nelle bambine tanto da essere conosciuta in gergo anche come Sindrome delle bambine dagli occhi belli, poiché in caso di gravi paralisi il movimento degli occhi resta l’unico modo delle piccole pazienti per comunicare con il mondo esterno.
Può insorgere, di rado, anche in bambini di sesso maschile. È stata riscontrata presso tutti i gruppi etnici e razziali del mondo. I danni causati dalla malattia possono essere molto gravi, come limitazioni motorie e del linguaggio e persino la perdita della capacità d’interazione sociale.
Molto spesso, si tende a confondere la Sindrome di Rett con l’autismo o con un ritardo grave a livello mentale o dello sviluppo, per questo, una diagnosi precoce è il primo passo per migliorare e allungare l’aspettativa di vita di chi ne è colpito.
Tuttavia, la sindrome di Rett provoca gravi disturbi a molti livelli, rendendo chi ne è affetto dipendente dagli altri per tutta la vita.
Possibili cause
La sindrome di Rett prende il nome da Andreas Rett, un neurologo austriaco che per primo la individuò e la descrisse nel 1966 e viene abbreviata con l’acronimo RTT.
Non è stata ancora scoperta la causa della malattia, ma la scienza ha rilevato una correlazione forte con una mutazione genetica che interessa il gene MECP2, situato nel cromosoma X.
Ma, anche altre caratteristiche genetiche possono influire nella determinazione dei sintomi collegati alla patologia, per questo, la scienza sta portando ancora avanti la ricerca. Pare, inoltre, che la mutazione genetica che causa la malattia compaia in maniera spontanea e casuale e non per motivi ereditari.
Sindrome di Rett: sintomi e come si manifesta
I bambini affetti dalla SR, all’inizio della loro vita sembrano in salute e almeno fino ai sei mesi vivono una fase iniziale di sviluppo normale.
Generalmente a partire dai 12-18 mesi, già a sei mesi nei casi più aggressivi, lo sviluppo si arresta e via via le capacità acquisite fino a quel momento cominciano a regredire. La patologia, infatti, è una delle cause più diffuse di grave o gravissimo deficit cognitivo.
I soggetti colpiti da questa patologia, la cui incidenza è stimata in un caso ogni 10.000 bambine, mostrano una progressiva perdita di interesse per l’ambiente sociale.
Il tutto si associa ad un ritardo della crescita e possono essere presenti altre manifestazioni sintomatologiche, come irregolarità nella respirazione, rigidità muscolare, che si evidenzia con l’aumentare dell’età, deformità e atrofie muscolari e si osserva un rallentamento dello sviluppo del cranio rispetto al resto del corpo facendo apparire la testa molto più piccola.
Potrebbero comparire anche dei movimenti stereotipati delle mani costringendo il malato a torcerle, batterle, muoverle, stringerle in modo ossessivo.
Altri sintomi correlati possono essere: perdita delle capacità di comunicare e di pensare, anomalie encefaliche, epilessia, ipotonia muscolare, scoliosi, osteopenia, bruxismo, costipazione ed estremità fredde.
Diagnosi della malattia di Rett
La diagnosi della sindrome di Rett inizialmente avviene attraverso l’osservazione clinica, ossia si confronta per esclusione con altre patologie simili.
Solitamente, per diagnosticarla deve essere esclusa la presenza di autismo, sindrome di Angelman, sindrome cataratta-ritinopatia-atrofia ottica, danni cerebrali di qualche genere, difetti congeniti del metabolismo e malattie neurodegenerative o neurologiche.
Per ottenere una diagnosi definitiva, però, è necessario individuare un difetto genetico specifico e può essere confermata dall’analisi genetica, con ricerca dapprima di alterazioni a carico del gene MECP2. Qualora il paziente risultasse privo di mutazioni in MECP2, generalmente si prosegue con l’analisi degli altri due, CDKL5 e FOXG1
Le mutazioni che causano più spesso la RTT già individuate dalla scienza, dunque, sono tre, ma non spiegano ancora tutti i casi di diagnosi, facendo pensare che altri geni debbano ancora essere individuati.
Varianti della sindrome di Rett
L’evoluzione e la gravità della malattia sono variabili e i sintomi possono essere attenuati o più severi rispetto alla forma classica. Sono stati osservati almeno cinque tipi di patologia:
- la variante a linguaggio conservato;
- la variante con convulsioni a esordio precoce;
- le forme fruste (in cui i segni clinici caratteristici sono più sfumati);
- la variante congenita in cui il ritardo psicomotorio è evidente fin dai primi mesi di vita;
- la variante a regressione tardiva
Riabilitazione e aspettativa di vita
Attualmente per la sindrome di Rett non esiste una cura risolutiva, anche se sono in fase sperimentale alcuni rimedi che fanno ben sperare in una possibilità futura.
L’unica speranza concreta, ad oggi, è quella di fare una diagnosi precoce affinché si possa attuare sin dal principio un piano di riabilitazione per ottimizzare il più possibile le capacità del paziente.
Secondo l’Osservatorio delle malattie rare, affinché questo avvenga, è necessario che le bambine affette da Sindrome di Rett siano supportate da un team multidisciplinare di dietisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti e musicoterapeuti in grado di valorizzare le loro capacità residue e di mettere in atto un’efficace strategia comunicativa.
Le terapie specifiche come fisioterapia, terapia cognitiva, logopedia, musicoterapia, ippoterapia, infatti, sono la più concreta possibilità per migliorare la qualità della vita.
Per migliorare alcuni disturbi come quelli del sonno, le difficoltà respiratorie, le eventuali crisi epilettiche e i movimenti stereotipati delle mani si può ricorrere ai farmaci ma solo sotto strettissimo controllo medico.
Le famiglie che devono affrontare una lotta alla Sindrome delle bambine dagli occhi belli hanno assolutamente bisogno di essere accompagnate nel percorso da un sostegno psicologico e sociale, in quanto, l’impegno che ne deriva può essere troppo complesso da affrontare in autonomia.
Si comincia con il trovare i professionisti adatti, fissare appuntamenti e sedute terapeutiche, cercare le scuole giuste o i programmi giusti e procurarsi l’attrezzatura specifica.
Nelle famiglie colpite, inoltre, si può effettuare una diagnosi prenatale la probabilità che colpisca un futuro nascituro della stessa famiglia è molto bassa (solo l’1% in più della restante popolazione).
Per colpa della rarità della RTT, si sa pochissimo della prognosi a lungo termine e dell’aspettativa di vita. La maggior parte dei casi identificati si trova sotto i 25 anni di età ma, ad oggi, l’aspettativa media di vita per una bambina a cui sia stata diagnosticata la RTT può superare anche i 47 anni.