A Milano, venerdì sera, l’ora era quella in cui si spengono i riflettori e le platee si svuotano, lasciando nel silenzio il ricordo di un ultimo, lungo applauso. Proprio nel suo appartamento meneghino, si è consumato l’addio di una delle voci più intense e iconiche della musica italiana.
Aveva 91 anni, e aveva sempre saputo che perfino l’ultima scena andava affrontata con il giusto portamento. Era stata lei, d’altronde, a dichiarare con la consueta autoironia che avrebbe trovato il modo di congedarsi con eleganza. Questa promessa, in un certo senso, l’ha mantenuta: la scomparsa è giunta all’improvviso, causata da un malore.
Un evento inaspettato e fulmineo, destinato a lasciare un vuoto profondo nel panorama culturale del Paese. Per sessant’anni, la Signora della canzone italiana ha costruito un impero di note, ironia e sincerità brutale, vendendo milioni di dischi.

Per il grande pubblico, era la donna dei brani eterni nati da amori tormentati, la musa di grandi autori, la regina che riusciva a trasformare l’inquietudine in arte popolare.
Ora che la sua voce tesa e riconoscibile non risuonerà più dai palchi, l’Italia si chiede cosa resta di quella vita dedicata interamente alla musica e alla ricerca della gioia.
Oltre al patrimonio artistico sterminato, qual è l’eredità umana e privata di una donna che, per sua stessa ammissione, ha sempre avuto un rapporto complesso con i legami e le fortune? Chi resta a raccogliere i suoi ricordi più preziosi? Chi sarà adesso a raccoglierr tutto quello lasciato dalla Vanoni?