"Sono uscita dai Testimoni di Geova, vi racconto cosa fanno veramente" (1 / 2)

"Sono uscita dai Testimoni di Geova, vi racconto cosa fanno veramente"

Nell’immaginario collettivo, da sempre, la loro immagine è avvolta in una sorta di velata diffidenza. Sono gli uomini e le donne che bussano discreti alle porte, portando in mano la Torre di Guardia,  un simbolo di un mondo che osserva il nostro, ma resta rigorosamente separato.

Al di là di quel portone socchiuso, per molti, si nasconde il mistero di una vita regolata da principi rigidi, un’esistenza vissuta con la costante attesa di un’Armageddon che cambierà ogni cosa. Stiamo parlando come avete ben capito dei Testimoni di Geova.

Molti li definiscono una setta chiusa, un circolo che seleziona con cura chi far entrare e, soprattutto, chi è costretto a rimanere fuori. Una percezione che, nel tempo, ha creato un silenzio profondo, una barriera che non è solo spirituale, ma sociale.  È proprio in questa zona d’ombra, dove l’opinione pubblica incontra la fede, che si colloca l’esperienza di una testimone, una donna che ha deciso di raccontare la sua quotidianità.

Non una figura estranea, ma una persona che vive in equilibrio tra il mondo che sta fuori e le regole ferree della sua congregazione dalla quale è anche riuscira ad uscirne. Il suo racconto infrange quel muro di supposizioni, cercando di svelare la vera dinamica di una comunità spesso stigmatizzata.

Ma quanto costa, davvero, mantenere questo doppio binario emotivo, tra l’attesa della redenzione e la pressione della vita secolare? Che cosa si fa esattamente all’interno di questa congregazione, chi sono i veri tessitori dei fili all’interno di questa comunità?