Il caso di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più intricati e discussi della storia italiana. Emanuela, cittadina vaticana di 15 anni, scomparve il 22 giugno 1983 a Roma, senza lasciare traccia. Da allora, il suo caso è stato oggetto di innumerevoli indagini, coinvolgendo il Vaticano, la criminalità organizzata, i servizi segreti e perfino il terrorismo internazionale.
Emanuela era figlia di un dipendente della Prefettura della Casa Pontificia. Quel giorno, uscì di casa per andare a lezione di flauto alla scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria”, nei pressi di Piazza Sant’Apollinare, ma non fece mai ritorno. L’ultima volta fu vista intorno alle 19:00 mentre parlava con un’amica vicino alla fermata dell’autobus.
Dopo la scomparsa, la famiglia ricevette alcune telefonate anonime da sedicenti rapitori, che affermavano di avere la ragazza e chiedevano in cambio la liberazione di Ali Ağca, l’uomo che nel 1981 aveva attentato alla vita di Papa Giovanni Paolo II. Questa pista, tuttavia, non portò a nulla di concreto.
Nel corso degli anni, il Vaticano ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo sulla vicenda. Solo dopo 40 anni di silenzio, per volere proprio di Papa Francesco, ha aperto un’inchiesta interna, mentre la Procura di Roma ha riaperto le indagini nel tentativo di far luce su un caso ancora avvolto nel mistero.
Un’inchiesta che si è rivelata sinora piuttosto deludente e che non ha portato ad alcun risultato concreto. In queste ore Pietro Orlandi, che si è sempre battuto per la verità sulla scomparsa della sorella, ha fatto l’ennesimo appello. Le sue parole stanno alzando un polverone: scopriamo che cosa ha detto nella pagina successiva.