Il nome dell’uomo, legato indissolubilmente al femminicidio di Pamela Genini, è Soncin, che la modella e imprenditrice 29enne voleva lasciare. La sua storia personale, appesa ai resoconti delle forze dell’ordine, rivela un pattern di allarmi lanciati e poi rientrati, di cui Joanna era a conoscenza ed è di questo che vi parleremo, dato che il suo è un racconto davvero struggente, affidato alla stampa.
Joanna, la vicina di Pamela, che l’aveva protetta, ha ripercorso la propria via crucis personale. Anni addietro, in un’azione violenta subita tra le mura domestiche, il marito le aveva procurato lesioni gravissime, arrivando a frantumare le costole. Il peso del trauma era stato insopportabile. Per lei, la decisione di denunciare non fu una scelta di rivalsa personale, ma un gesto estremo, compiuto solo ed esclusivamente per proteggere le sue figlie. Senza la spinta di tutelare le giovani vite, anche lei avrebbe potuto cedere al ricatto del silenzio.
Questa spirale di mancata denuncia, purtroppo, non era un caso isolato attorno alla figura di Soncin. Prima di Pamela, anche la sua ex compagna aveva vissuto momenti di paura così intensi da spingerla a chiamare i Carabinieri.
Nonostante l’intervento tempestivo delle istituzioni, quella donna, proprio come Joanna temeva per sé un tempo, non aveva mai trovato la forza necessaria per presentare una querela formale.
Quella sottile linea tra la paura e il coraggio, tra l’allarme lanciato e l’azione compiuta, è un bivio che troppe donne sono costrette a percorrere da sole. E il prezzo di quel mancato passo in avanti, a Cervia, è diventato il segno più crudo e indimenticabile.