
Dal momento che il nuovo anno è alle porte, occorre fare chiarezza sugli aumenti pensionistici previsti per il 2026 in quanto le cose non stanno, secondo la Cgil , come è previsto.
Nella maggior parte dei casi, i pensionati vedranno accreditarsi solo 9 euro netti in più al mese. La piccola speranza di un sollievo concreto si scontra con la dura realtà delle trattenute.È l’effetto combinato di Irpef e delle addizionali regionali e comunali, che intervengono puntualmente a erodere quasi per intero l’aumento lordo appena ottenuto.
Un meccanismo che rende il beneficio quasi impercettibile nella spesa quotidiana.L’esempio fornito dai sindacati è chiarificatore sull’effetto finale: una pensione del 2025 pari a 632 euro netti, l’anno successivo raggiungerà appena 641 euro netti.Un aumento identico si registra, in modo sorprendente, anche per gli assegni leggermente più alti: chi percepisce 800 euro netti al mese, infatti, vedrà la propria busta crescere di soli 9 euro, passando da 841 a 850 euro mensili.

.Il resto del sistema di rivalutazione segue le regole già consolidate: l’adeguamento pieno, senza penalizzazioni sulla percentuale di rivalutazione, è garantito unicamente fino alla soglia di 2.447,39 euro lordi.Per gli assegni che superano questa cifra, i numeri si fanno ancora più stretti.
Oltre il tetto massimo, scattano infatti le penalizzazioni introdotte negli anni scorsi: una rivalutazione ridotta all’1,26% tra 2.447 e 3.059 euro, e un più severo 1,05% per gli importi di valore superiore.In sintesi, l’adeguamento Istat per il 2026 conferma un paradosso economico profondo: la difesa contro l’inflazione si traduce in un risultato minimo, lasciando intatto il disagio di chi vive con le pensioni più basse e i loro nove euro di incremento.