In questi giorni di particolare sofferenza per Papa Francesco, riemerge sui social una toccante lettera scritta anni fa da don Fabrizio De Michino, un giovane sacerdote napoletano scomparso prematuramente all’età di 31 anni. La missiva, indirizzata al Pontefice, è diventata virale, riaccendendo i riflettori sulla figura di un uomo che, nonostante la patologia, ha incarnato fino all’ultimo la gioia del Vangelo.
Don Fabrizio, originario di Napoli, svolgeva il suo ministero a Ponticelli, quartiere periferico segnato da povertà. Nonostante le difficoltà del contesto, il giovane sacerdote trovava nella fede delle persone la forza per continuare il suo servizio. Tuttavia, la sua vita fu segnata da una rara e grave patologia: una neoplasia all’atrio destro del cuore, diagnosticato pochi anni dopo la sua ordinazione sacerdotale nel 2008, e successivamente aggravato da metastasi al fegato e alla milza.
Nella lettera al Papa, don Fabrizio racconta con estrema umiltà la sua battaglia contro il male, senza mai perdere la fiducia in Dio. “Non chiedo a Dio la mia guarigione, ma la forza e la gioia di continuare a essere testimone del suo amore”, scrive. Pur nelle sofferenze e nelle terapie, il sacerdote napoletano non smise mai di sorridere, tanto da essere soprannominato “don sorriso” da chi lo conosceva.
La sua fede incrollabile e il suo impegno pastorale, anche durante i momenti più bui, sono diventati un esempio per molti. Don Fabrizio si spense il 1° gennaio 2014, lasciando un vuoto profondo nella sua comunità. La sua lettera al Papa, oggi riproposta sui social, non solo ricorda la sua straordinaria testimonianza di fede, ma diventa anche un messaggio di speranza e di incoraggiamento per quanti stanno affrontando prove simili.
In un momento in cui il Pontefice stesso è alle prese con problemi di salute, le parole di don Fabrizio risuonano come un invito a confidare nella forza che viene dall’alto, anche nelle circostanze più difficili. La sua eredità spirituale continua a vivere, dimostrando che la vera gioia non dipende dalle condizioni esterne, ma dalla capacità di amare e servire.