Mentre il mondo cattolico attendeva la fumata bianca per l’elezione del nuovo Pontefice, tra speculazioni e speranze, è emersa una voce fuori dal coro: quella di don Andrea Cristiani, sacerdote toscano e fondatore del Movimento Shalom.
Con un intervento audace, aveva lanciato una richiesta simbolica: “Vogliamo un Papa comunista“. Il termine, però, non va inteso in senso politico, ma come richiamo a una Chiesa povera e vicina agli ultimi, sull’esempio di Francesco. Don Cristiani ha spiegato che la sua provocazione si basa sull’ideale evangelico di una Chiesa che vive in povertà e servizio, seguendo l’esempio di Cristo.
Citando il cardinale Re, ha sottolineato l’importanza di un Pontefice che sia «testimone autentico del Dio di Gesù Cristo», capace di guidare con amore e coerenza. “Se vivere come Gesù, accanto ai poveri, significa essere comunisti, allora sì, vogliamo un Papa così”, ha affermato.
Il sacerdote ha condannato la strumentalizzazione del termine “comunista”, spesso usato come insulto verso chi lotta per la giustizia sociale. Secondo lui, il capitalismo sfrenato ha distorto il significato della parola, associandola a regimi totalitari. Il sacerdote toscano ha difeso una visione di Chiesa impegnata nella difesa degli emarginati.
Le riflessioni di don Cristiani trovano un parallelo in quelle di Papa Francesco, che nel 2023, rispondendo a chi lo accusava di comunismo, aveva detto: “A volte quando mi sentono dire le cose che ho scritto nelle encicliche sociali, dicono che il Papa è comunista. Non è così. Il Papa prende il Vangelo e dice quello che dice il Vangelo”. La provocazione di don Cristiani, pur polarizzante, spinge a riflettere su cosa significhi oggi incarnare il messaggio di Cristo in un mondo segnato da disuguaglianze e ingiustizie.