Una nuova svolta potrebbe cambiare radicalmente il corso delle indagini sul Mostro di Firenze, una delle pagine più oscure della cronaca nera italiana. Al centro di questa novità c’è un test del DNA effettuato di recente su Natalino Mele, il bambino di sei anni sopravvissuto al duplice delitto di sua madre Barbara Locci e dell’amante Antonio Lo Bianco, avvenuto nel 1968 a Lastra a Signa.
Contrariamente a quanto sostenuto per oltre mezzo secolo, il piccolo non sarebbe figlio di Stefano Mele, marito della donna e unico condannato per quel delitto. Le analisi genetiche hanno rivelato che il padre biologico di Natalino è Giovanni Vinci, uno degli amanti della Locci e fratello di Salvatore e Francesco Vinci, già sospettati in passato per i delitti seriali del cosiddetto Mostro.
Un legame che riporta d’attualità quella che negli anni ’80 venne definita “la pista sarda“, un filone investigativo incentrato su dinamiche familiari e relazioni sentimentali complesse all’interno della comunità sarda trapiantata in Toscana. Giovanni Vinci, deceduto da tempo, era già finito sotto la lente degli inquirenti durante le prime fasi dell’indagine.
I suoi legami con Barbara Locci e la parentela con altri sospettati lo rendevano una figura centrale, anche se mai formalmente accusata. Il ritrovamento del DNA grazie al genetista Ugo Ricci — noto per il caso Garlasco — aggiunge ora un tassello significativo a una vicenda da sempre avvolta nel mistero. Restano tuttavia molti interrogativi aperti. Perché il killer risparmiò Natalino?
Era consapevole del legame di parentela con Giovanni Vinci? E come riuscì il bambino, nel cuore della notte, a percorrere da solo chilometri di strade sterrate fino a raggiungere una casa? Natalino, oggi adulto, ha dichiarato di non aver mai conosciuto Giovanni Vinci. Ma questa scoperta potrebbe riaccendere definitivamente i riflettori su un’indagine che, nonostante i decenni trascorsi, sembra ancora lontana dal conoscere la verità definitiva.