Michela decide di denunciare tutto: “Il medico mi ha dilatata e urlato..” (2 / 2)

In un’intervista rilasciata a Fanpage.it, Michela, che abita a Napoli, città in cui ha partorito, ha voluto parlare della sua esperienza da neomamma, descrivendola come una violenza fisica e morale, in cui si è sentita abusata, al punto da dover andare in cura da una psicologa. Michela, 31 anni, è una delle tante vittime della cosiddetta violenza ostetrica, ossia della violenza compiuta in sala parto. La giovane donna ha esordito così: Doveva essere l’esperienza più bella della mia vita, è stata la peggiore”. In questa frase, è racchiuso tutto l’orrore del parto. Rimasta incinta durante il lockdown, ha frequentato un corso preparto presso la Asl di Napoli, tenuto da una dottoressa molto brava.

Quando le sono venute le contrazioni, dunque, non si fatta prendere dall’ansia, preparandosi con calma e arrivando in ospedale già dilatata di 7 centimetri. Presso l’ospedale, è iniziato il suo incubo ad occhi aperti. Parcheggiata per mezzora in pronto soccorso, è stata trasferita al piano di sopra, in pieno travaglio, solo grazie ad una signora di passaggio che ha intuito che stesse per partorire. Messa in una stanza dove c’erano tre ostetriche, Michela ha dichiarato: “ Mi hanno infilato una mano nelle parti intime e rotto qualcosa, non so se fossero le acque, ma ho sentito parecchio dolore”.

Ha chiesto di poter far nascere il suo bambino in acqua, nella piscina in dotazione dell’ospedale e, seppur con estrema scocciatura, le ostetriche alla fine le hanno riempito la piscina. La 31enne è rimasta da sola in sala parto, senza epidurale, senza che nessuno le controllasse la dilatazione. Ogni tanto un’ostetrica affiorava solo per urlarle di spingere ma Michela sapeva che , spingendo quando non sentiva di doverlo fare, rischiava di avere lacerazioni, come la sua bravissima dottoressa del corso preparto le aveva detto.

Queste le terribili parole che la donna ha voluto condividere con Fanpage e tutti i lettori: “A un certo punto credo si sia scocciata, mi ha detto di girarmi e accovacciarmi in avanti mettendo le ginocchia sulla vasca. Diceva ‘al mio tre spingi’, e ha allargato le mie parti intime con le mani… Mi sono sentita violentata, ancora oggi mi fa male” Dopo parecchie manovre fatte con la mano, a Michela è stato indotto il parto con l’ossitocina, sentendosi urlare: “o spingi o tuo figlio muore affogato”. Nel frattempo il dottore le ha spinto sull’addome, praticandole una manovra ed il bambino è uscito completamente. Ma lei ha sentito un fortissimo strappo, venendo a sapere, solo dopo le dimissioni, attraverso i documenti, di aver avuto una lacerazione di terzo grado.

In reparto, Michela ha perso molto sangue ed è stata trasportata nuovamente in sala parto dove le hanno tolto i punti e rimesso l’ossitocina, in quanto aveva ancora della placenta dentro. Un orrore che le ha lasciato i segni nell’anima ma anche nelle parti intime, per via di cuciture non fatte bene che le hanno lasciato della pelle in eccesso. Michela è riuscita a uscire dalla depressione grazie all’aiuto di una psicologa e ai suoi amici e ha deciso di raccontare a tutti la sua atroce esperienza. Queste le sue parole: “Non mi sentivo più una donna, mi sentivo manomessa, rotta dentro. Se sto raccontando la mia storia è per dire alle altre mamme che non sono sole. È successo a me, è successo ad altre e succederà ancora. Spero possa nascere una legge che ci tuteli, che io possa diventare una voce affinché queste realtà nascoste possano venire allo scoperto”.