Matteo Messina Denaro, le parole del vicino di casa (2 / 2)

L’arresto è scattato al culmine di un blitz dei carabinieri del Ros, nella mattinata del 16 gennaio, all’interno della clinica Maddalena, ma questo è solo l’inizio di una ricerca incessante che possa portare a scoprire tutto il mondo, fatto di omertà, accondiscendenza, protezione, nei confronti di un uomo che, ricordiamo, è riuscito a sfuggire alla giustizia per tre decessi. Il secondo covo è stato scoperto. Al suo interno, l’impossibile, tranne quel che si sperava di trovare.

Profumi di lusso, sneakers griffati, abiti ricercati cui non aveva mai rinunciato, un arredamento elegante, raffinato. Il lusso sino alla fine della sua libertà, della sua prima volta in carcere, in una cella, in isolamento. Un frigorifero pieno zeppo di cibo, ricevute di ristoranti, pillole di Viagra, profilattici. Un boss attivo in tutti i sensi, insomma! Tutto è stato sequestrato e nulla verrà lasciato al caso, in particolar modo dei cellulari e un’agenda.

Ma cosa ne pensano i vicini di casa? Uno di loro ha raccontato alla stampa che il boss stava lì da solo, da circa un anno. “Usciva, come una qualsiasi altra persona. Buongiorno e buonasera, era educato e non dava confidenza”. Queste le parole di chi lo vedeva condurre una vita normale nonostante fosse ricercato da 3 decenni. 

La sua casa, situata in una palazzina di vicolo San Vito, traversa della centralissima via Vittorio Emanuele II, e non di certo in un luogo nascosto, era intestata, guarda caso, ad Andrea Bonafede, nome e cognome usato dal boss per accedere alla clinica palermitana e sottoporsi alle cure chemioterapiche. Il mistero è molto più fitto di quanto si pensi e la lista degli indagati continua ad indagarsi.

In essa ci è finito, ad esempio, il medico di base di Campobello di Mazara che aveva in cura Messina Denaro e che assisteva anche il vero Andrea Bonafede. Il secondo nascondiglio dell’ex primula rossa è stato trovato ma in esso non c’è traccia del famoso archivio di Totò Riina, di cui non si hanno notizie da 30 anni,  dopo la mancata perquisizione del covo di via Bernini a Palermo da parte dei Ros.  E’ un “tesoro” che potrebbe rilevare molte cose dei misteri irrisolti della stagione delle stragi dei Corleonesi. Intanto gli inquirenti continuano a lavorare senza sosta per smascherare la fitta rete, caratterizzata da intrecci con massoneria, servizi deviati, rapporti politici…e omertà.