Sono trascorsi quasi venti anni da quando il corpo del 18enne Federico Aldrovandi è stato rinvenuto su una panchina. Era la mattina del 25 settembre 2005. Federico, ferrarese, incensurato, senza armi, venne fatto fuori, questo ora è certo. Nonostante la verità giudiziaria sia stata stabilita e siano stati condannati quattro poliziotti a tre anni e sei mesi per delitto colposo per eccesso di mezzi di contenimento, la vicenda di Federico continua a far parlare, in quanto è molto più di un caso giudiziario, rappresentativo di una campagna culturale, straziante e complessa, sul ruolo delle forze dell’ordine e sulla gestione della sicurezza.
Tante sono le testimonianze contro i poliziotti. Alcune, inizialmente, erano increduli sul fatto che fossero stati proprio degli uomini in divisa a ridurre Aldrovandi così, e la sua storia è divenuto il simbolo del silenzio e del muro di omertà che inizialmente avvolse la dipartita del ragazzo.
La madre del 18enne , Patrizia Moretti, a gennaio 2006, aprì un blog, volto a smuovere coscienze e la sua aperta denuncia permise a molti di trovare la forza e il coraggio di denunciare. Così , alle ipotesi iniziali, si fece strada quella secondo cui il 18enne perse la vita durante l’intervento degli agenti.
Dai racconti emergeva che Federico fosse rimasto a lungo a terra, con almeno un poliziotto sulla schiena, che aveva difficoltà respirare, chiedendo aiuto ma inutilmente. Anche Amnesty International si interessò della vicenda, lanciando una campagna per chiedere l’introduzione, anche in Italia, di codici identificativi sulle uniformi e sui caschi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico. Lo scatto del corpo martoriato di Federico, col volto tumefatto, venne pubblicata dal suo avvocato , con i segni dei manganelli sul viso e la macchia ematica che si allargava sul lenzuolo bianco sotto di lui. Di colpo, quella foto sconvolse milioni e milioni di persone, al punto che anche chi aveva paura di parlare, alla fine lo fece.
Una donna camerunese 35enne che aveva il permesso di soggiorno in scadenza, la quale in una prima fase disse di non aver visto nulla, confidandosi, in un secondo momento, con un parroco e poi con un avvocato, si rivelò un testimone fondamentale. Queste le sue parole : “Quattro di loro (quattro poliziotti) su di lui che lo picchiavano”. Fu un pestaggio tremendo dei poliziotti, nato da un diverbio, a causare il decesso di Federico. Enzo Pontani, uno degli imputati che la mattina del 25 settembre nel chiamare in centrale disse: “Una lotta di mezz’ora con questo qua… lo abbiamo bastonato di brutto… ora è svenuto, mezzo deceduto” . Federico probabilmente era spirato già. Pontani, tra le aule giudiziarie, provò a far passare questa espressione come una metafora calcistica, non riuscendoci.