In Argentina, il presidente Javier Milei ha preso una decisione che ha fatto discutere il mondo intero. Nell’ambito di una strategia volta a ridurre la spesa pubblica, Milei ha licenziato 34.000 dipendenti pubblici. Questa mossa, parte di un piano più ampio per andare contro quello che il presidente definisce “uno Stato nemico”, ha coinvolto ministeri ed enti pubblici, portando anche al congelamento di aumenti salariali e nuove assunzioni.
“Non sono esseri superiori, ma al servizio di chi paga le tasse”, ha dichiarato Milei, sottolineando l’importanza di ridurre il peso della macchina statale. I risultati non si sono fatti attendere: in soli 12 mesi, il costo del settore pubblico è diminuito del 28%. Un dato sorprendente per un Paese abituato a vedere un costante aumento del numero di dipendenti pubblici, spesso utilizzati come strumento politico per accrescere il consenso.
Questa scelta ha inevitabilmente acceso il dibattito. Da una parte, c’è chi sostiene che il settore pubblico debba essere più meritocratico, con la possibilità di licenziare i dipendenti inefficienti. Dall’altra, molti chiedono maggiori tutele per i lavoratori, indipendentemente dal settore in cui operano.
Alcuni commenti online riflettono questa divisione. C’è chi invoca “la regola del buon padre di famiglia”, sottolineando la necessità di premiare chi lavora con dedizione. Altri, invece, mettono in guardia dai rischi di una politica troppo aggressive, ricordando “il precedente della Grecia sui dipendenti pubblici che non è andato benissimo”.
La mossa di Milei solleva interrogativi sul futuro del lavoro pubblico e sul ruolo dello Stato nell’economia. Una scelta audace, che potrebbe segnare un punto di svolta per l’Argentina e offrire spunti di riflessione per molti altri Paesi.