Un’epidemia di chikungunya sta preoccupando la provincia di Verona, dove dal 6 agosto scorso sono stati registrati 46 casi autoctoni. Il focolaio, il secondo per entità in Italia dopo quello storico di Carpi, ha avuto inizio con il cosiddetto “paziente zero”: una donna di 64 anni residente ad Arbizzano, che non aveva effettuato recenti viaggi all’estero.
A distanza di appena 24 ore, è stato confermato un secondo caso in una 39enne di Affi. Secondo le autorità sanitarie, l’infezione si sta diffondendo a un ritmo di circa due nuovi casi al giorno. Le analisi genetiche hanno identificato il ceppo virale come originario del Madagascar. La comunità scientifica ritiene che il virus sia stato introdotto nel territorio da un viaggiatore rientrato da una zona endemica e che successivamente sia stato trasmesso alla popolazione locale attraverso la puntura della zanzara tigre.
«L’ipotesi più probabile è che un viaggiatore abbia portato il virus, che poi ha cominciato a circolare tramite il vettore principale, la zanzara tigre», conferma Fabrizio Pregliasco, professore di Igiene all’Università di Milano. Le condizioni climatiche di questa estate, caratterizzate da alte temperature e umidità, hanno creato l’ambiente ideale per la proliferazione di questi insetti.
A livello nazionale, i casi totali salgono a 208, di cui 41 importati e 167 autoctoni. L’età media dei pazienti è di 60 anni e quasi la metà (47%) sono uomini. Fortunatamente, il decorso della malattia appare per lo più benigno. Nel Veronese, solo due persone hanno necessitato di ricovero ospedaliero e sono state dimesse senza complicazioni. “Rispetto al West Nile, i sintomi della chikungunya sono generalmente più lievi, sebbene molto fastidiosi: predominano forti dolori articolari, simili a quelli influenzali”, spiega il virologo Matteo Bassetti.
In assenza di un vaccino, la prevenzione si basa esclusivamente sul controllo del vettore. Sono in corso disinfestazioni straordinarie nei comuni colpiti e si valuta la sospensione precauzionale di eventi all’aperto. Le autorità sanitarie raccomandano ai cittadini di eliminare qualsiasi ristagno d’acqua, come sottovasi e tombini, per limitare i focolai larvali.