
Il “fuoco di Sant’Antonio” è un disturbo virale che, pur non mettendo generalmente in pericolo la vita, può rivelarsi doloroso e debilitante. L’attivazione del virus è favorita da condizioni che indeboliscono il sistema immunitario: età avanzata, stress fisico o psicologico, patologie croniche, trattamenti immunosoppressivi o altre terapie aggressive sono tutti elementi che aumentano il rischio.
Una volta riattivo, il virus percorre il nervo e si manifesta sulla pelle con lesioni localizzate su un lato del corpo, spesso seguendo il decorso di un nervo specifico. Tra i segnali d’allarme ci sono inizialmente bruciore, prurito o formicolio in una zona circoscritta; a questi possono aggiungersi malessere generale, febbre e mal di testa.
Successivamente si sviluppa un’eruzione cutanea tipica: una striscia o placca sulla pelle, ricca di vescicole piene di liquido che poi guariscono in 2‑4 settimane. Il virologo Fabrizio Pregliasco, oltre a sottolineare l’aumento recente dei casi, ha posto l’attenzione su un sintomo in particolare che colpisce gli occhi.

“Attenzione agli occhi -ha detto Pregliasco- Dipende da dove si viene colpiti, perché in pratica il virus rimane in un ganglio nervoso. I più sfortunati sono quelli che vengono colpiti al trigemino, perché le persone mi riferiscono gli viene voglia di “togliersi l’occhio” proprio a causa del dolore inesistente”.
Anche se il soggetto affetto non «trasmette» un nuovo Herpes Zoster, può trasmettere il VZV a chi non ha mai avuto la varicella o non è stato vaccinato, provocando quindi la varicella in quella persona. Le complicanze più temute riguardano la nevralgia post‑erpetica, infezioni batteriche secondarie delle lesioni e, se coinvolto il viso, anche danni a vista o udito. Il trattamento precoce è fondamentale: antivirali somministrati nelle prime 72 ore aiutano a ridurre intensità e durata del disturbo, associati a analgesici e antinfiammatori.