La depressione, definita male oscuro del secolo, ha cause biologiche, genetiche, psicologiche non del tutto definite e, spesso, viene sottovalutata e sminuita. Risulta automatico associarla alla tristezza, alla malinconia, all’inattività ma lo stato depressivo è un qualcosa di molto più profondo, radicato nel fisico e nell’anima.
Molte persone, anche involontariamente, pronunciano frasi come: “Ma sì passerà”, “Non capisco proprio come tu faccia a essere depresso”, “E’ solo un po’ di stress”, “Non ti manca niente!” e la più inflazionata “Se non uccide fortifica”.
Davanti a una persona sofferente accentua un senso di svalutazione e superficialità, in quanto la depressione non è una scelta, uno stile di vita ma una malattia in piena regola. Il disturbo depressivo non conosce sesso, razza, età, religione o ceto sociale e bussa alla porta senza aver ricevuto alcun invito. Spinge all’isolamento, all’ossessività e alla paura. La vita comincia a perdere gradualmente tutti i colori, per lasciare spazio ai grigi, come se si vivesse sempre in una giornata tempestosa. Le relazioni diventano difficili e viene a mancare persino la fiducia; ci si sente in un mondo proprio, chiuso, esclusivo che tende sempre più all’introversione.
Può accadere, dinanzi a una persona depressa, di reagire con la rabbia, perché non si accetta una trasformazione così radicale e si arriva persino a giudicare esclamando: “A me non sarebbe mai successo!”. Non si riesce a mettere a fuoco quel senso d’impotenza, d’inadeguatezza e di non riconoscimento, legati a traumi profondi del passato, momenti di fragilità dolorosi, problematiche serie del presente e terrore del futuro.
Il tentativo di consolare esiste, anche raccontando un’esperienza triste che si è vissuta, per costruire un’empatia ma, nonostante la vicinanza e il buon proposito, la verità è che non si sa realmente cosa provi quella persona, rinchiusa in un corpo vitale con la mente che sta intorpidendo.
“Io per te ci sono!” è una frase positiva e sarebbe auspicabile metterla in atto, non in maniera per forza eclatante; i gesti più semplici sono quelli più efficaci. Esserci significa aiutare la persona bisognosa a cercare un medico qualificato, perché è fondamentale inquadrare il problema a livello clinico e un appoggio psicologico, non solo umano. Basta un “Non sei solo”, “Sono qui per te!”, “Non è colpa tua” per alleviare lo stato d’animo. Non meno importante il potente strumento del silenzio: ascoltare e accogliere.
Minimizzare la sofferenza di una persona non può fare altro che acutizzarla, aumentando le distanze con l’esterno. Bisogna portare un estremo rispetto per chi soffre di questa patologia davvero invalidante che, come una macchina del tempo inceppata, il tempo lo ferma veramente.
Il “fai da te” non è il giusto modo per affrontare le difficoltà ma occorre rivolgersi a figure professionali che possano fornire adeguato sostegno e assistenza. Riconoscere di avere un problema e chiedere aiuto non è mai un segno di debolezza e fragilità ma di estremo coraggio e amore verso se stessi. E’ proprio questa mancanza di amore il burattinaio che muove i fili della depressione.