A chiamare i carabinieri è stata Mailyn Castro Monsaldo, cittadina colombiana e compagna di Alessandro Venier, che, con voce concitata, implorava aiuto e indicava con precisione un indirizzo. Poi una frase pesantissima: “Sua madre vuole ucciderlo”.
Quando i militari raggiungono l’abitazione, si trovano davanti una scena ambigua. Lorena Venier, madre di Alessandro, nega qualsiasi problema, affermando che non è accaduto nulla. Poco più tardi, seguendo forse un’indicazione di Mailyn, i militari scendono in garage: lì trovano il corpo di Alessandro, fatto a pezzi e nascosto in un bidone pieno di calce viva.
Gli inquirenti stanno rivalutando l’intero impianto investigativo, finora basato soprattutto sul racconto-confessione di Lorena Venier. Gli avvocati difensori attendono l’esame autoptico, al quale sarà presente anche il loro consulente. Un elemento nuovo lo introduce l’avvocata Federica Tosel: “Mailyn presenta ematomi recenti sulle braccia. Dice che glieli ha provocati la suocera”.
La donna, davanti al pm, ha raccontato di aver agito anche per salvare Mailyn: “La sua vita era in pericolo. O lo facevamo subito o lui l’avrebbe finita una volta all’estero”. Secondo lei, il figlio aveva in programma di trasferirsi di lì a poco in Colombia, portando con sé la compagna e la bambina (ora affidata ai nonni), per sfuggire a una condanna definitiva legata a pregresse lesioni personali.
La versione offerta da Lorena è macabra: narcolessia indotta con una limonata drogata, una doppia iniezione di insulina per evitare che il figlio si risvegliasse, quindi un tentativo di strangolamento. Non riuscendoci a mani nude, sarebbe stata Mailyn a finirlo usando i lacci delle scarpe. Quanto alla calce sarebbe stata ordinata su Amazon giorni prima, per far sparire tutto.