Dopo il delitto avvenuto a Racale, nel Salento, dove il 21enne Filippo Manni ha confessato di aver ucciso la madre con un’accetta per un rimprovero ricevuto, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet interviene con un’analisi netta e provocatoria.
“Viviamo in una società in cui nessuno conosce davvero chi ha accanto – afferma –. Lo denuncio da tempo: è grave che ci si limiti a giudicare le persone da un saluto o da un messaggio su WhatsApp”. Secondo Crepet, il malessere giovanile ha radici profonde. “Siamo di fronte a generazioni incapaci di tollerare il minimo ostacolo – spiega –. Un brutto voto, un appuntamento mancato, persino lo smartphone che si blocca: ogni piccola frustrazione può diventare ingestibile“.
A suo dire, la scuola ha perso la capacità di essere un riferimento educativo: “Gli insegnanti non sono più messi nelle condizioni di capire chi sono davvero i ragazzi. Valutare la maturità con una prova scritta è riduttivo”. Sul movente del delitto, presumibilmente un dissidio nato da divergenze sul futuro accademico del ragazzo, appassionato di musica, Crepet non esclude che alla base ci sia un sogno negato.
«Spesso vediamo solo la scintilla che accende la miccia, ma ignoriamo il malessere latente che si accumula nel tempo». Fondamentale, per Crepet, è reintrodurre la cultura del “no” come strumento educativo. Sebbene per i genitori possa risultare talvolta difficile, il ‘no’ è necessario per non rinunciare al proprio ruolo educativo.
In quest’ottica, il recente divieto dei cellulari in aula è un passo nella giusta direzione. Infine, una riflessione sulla brutalità del gesto: “La violenza non è nuova nella storia, ma oggi è amplificata dai social, che la trasformano in un linguaggio diffuso, a volte persino in un gioco. Per questo servono segnali forti, anche simbolici, per ridare senso al limite e alla responsabilità”.