A distanza di oltre quattro anni dalla sua comparsa, il SARS-CoV-2 continua a essere protagonista di un’evoluzione silenziosa, ma tutt’altro che irrilevante. Mentre l’opinione pubblica tende a percepire il Covid come un capitolo ormai archiviato, il virus mantiene una presenza costante nei sistemi sanitari di tutto il mondo, rinnovandosi attraverso varianti che, pur non causando le criticità di inizio pandemia, pongono nuove sfide sul piano clinico, diagnostico e preventivo.
Il fenomeno è ben visibile nelle dinamiche più recenti, con ceppi come NB.1.8.1, ribattezzata “Nimbus”, e XFG, conosciuta come “Stratus”, che stanno guadagnando terreno a livello globale, alimentando un nuovo ciclo di osservazione scientifica. Il tratto distintivo di questa fase non è tanto la virulenza delle nuove varianti, quanto la sottile modifica del quadro sintomatologico. Se la prima ondata di Covid era contraddistinta da polmoniti interstiziali, dispnea e sintomi sistemici gravi, oggi l’infezione si presenta in forme più leggere ma con manifestazioni talvolta inedite o poco comuni fino a poco tempo fa.
È il caso della raucedine, una voce roca e abbassata che molti pazienti, soprattutto in India e nel Regno Unito, riferiscono come sintomo iniziale o persistente, accompagnata da mal di gola secco e fastidioso. Questo elemento, osservato con particolare attenzione da medici e virologi, sembra collegato in modo più ricorrente alla variante Stratus, che include mutazioni capaci di aumentare la capacità del virus di eludere gli anticorpi preesistenti. La raucedine, finora considerata un sintomo secondario, potrebbe quindi rappresentare una nuova “spia precoce” dell’infezione nelle sue varianti più recenti. In parallelo, la sintomatologia più generale resta simile a quella già conosciuta: febbre moderata, tosse secca, spossatezza, dolori muscolari, congestione nasale.
Tuttavia, il fatto che le manifestazioni siano più lievi non implica necessariamente una riduzione dell’impatto complessivo del virus, soprattutto su categorie fragili come anziani e immunocompromessi. I dati più aggiornati mostrano infatti che, sebbene il numero complessivo dei contagi sia contenuto, la percentuale di ricoveri gravi resta rilevante tra gli over 80, a dimostrazione che l’attenzione non può essere abbassata. Un altro fattore di rischio è rappresentato dal calo dell’adesione vaccinale. Nell’ultima stagione, solo una piccola parte degli ultra 65enni ha ricevuto un richiamo vaccinale, esponendosi a un rischio evitabile in caso di reinfezione.
Gli esperti sottolineano come l’immunità indotta dall’infezione naturale o dai cicli vaccinali precedenti tenda a diminuire nel tempo, rendendo fondamentale il ricorso a nuovi richiami, soprattutto quando il virus assume forme diverse e potenzialmente più sfuggenti per il sistema immunitario. È per questo che la comunità scientifica continua a raccomandare l’uso di antivirali come il nirmatrelvir/ritonavir nelle fasi precoci dell’infezione e invita a un uso più diffuso del tampone tra i sintomatici. Nel frattempo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha attivato un monitoraggio attivo sulle varianti emergenti, ribadendo che, sebbene non ci siano segnali di aumento della gravità, è essenziale tenere alta la sorveglianza e mantenere strumenti di prevenzione, diagnosi e trattamento pronti all’uso. In questo contesto, anche un sintomo apparentemente banale come la raucedine assume un nuovo significato, trasformandosi in un possibile indicatore precoce di positività che merita attenzione, soprattutto in una fase dell’anno in cui l’attenzione sanitaria tende a concentrarsi su altri fattori stagionali.