La clamidia è una delle malattie a trasmissione sessuale più diffuse. Si tratta di un’infezione che spesso si presenta senza particolari sintomi o, comunque, che presenta dei leggeri fastidi, ma non per questo deve essere trascurata.
La clamidia è un’infezione di origine batterica causata da un microrganismo che si chiama Chlamydia trachomatis; colpisce soprattutto le donne giovani e sessualmente attive, ma può essere contratta anche dagli uomini. Può essere pericolosa perché, secondo una stima effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità, il 10-40% delle donne a cui non viene curata, l’infezione tende poi a sviluppare la malattia infiammatoria pelvica (PID) che è causa di infertilità.
Si tratta di una malattia a trasmissione sessuale dal momento che il contagio avviene proprio attraverso i rapporti sessuali. Generalmente i sintomi della clamidia tendono a rimanere lievi ma, se essa non viene trattata nel modo corretto, può provocare delle conseguenze all’apparato riproduttivo femminile.
L’infezione da clamidia viene definita “silenziosa” proprio perché, nella maggior parte dei casi, si presenta senza sintomi o con dei sintomi leggeri. I sintomi più comuni della clamidia sono:
- prurito intimo;
- dolore durante la minzione;
- bruciore durante i rapporti;
- dolore al basso ventre;
- ingrossamento dei linfonodi inguinali;
- perdite vaginali e uretrali;
- comparsa di piccole chiazze rosse in rilievo sui genitali;
- febbre.
Si può trasmettere durante un qualsiasi rapporto sessuale e si può anche contrarre durante un rapporto anale. In quest’ultimo caso, tra i sintomi ci può essere anche del dolore nella zona rettale. La sua trasmissione può avvenire in due modi: attraverso un rapporto sessuale non protetto (che può essere sia vaginale, che orale o anale), oppure durante il parto. Nel primo caso di contagio, l’incubazione è di circa 7-10 giorni, passati i quali si possono manifestare dei sintomi più o meno lievi. Invece, per quanto riguarda il secondo tipo di contagio, una donna infetta – che ha contratto l’infezione prima o durante la gravidanza – può trasmetterla al neonato attraverso il suo passaggio nel canale vaginale.
La diagnosi della clamidia si effettua attraverso un tampone cervicale o vaginale nelle donne, oppure un tampone uretrale o anale in entrambi i sessi, e anche attraverso un campione delle urine. Se si risulta positivi all’infezione da clamidia, bisogna cominciare una terapia per la cura dell’infezione. La terapia consiste nell’assunzione di un antibiotico: di solito il più utilizzato è a base di azitromicina, con cui si curano solitamente le infezioni a livello genitale. In gravidanza, invece, la scelta ricade di solito su antibiotici compatibili, primo fra tutti l’eritromicina. Il trattamento di cura dura in genere 5-7 giorni.
La clamidia può essere contratta anche in gravidanza e può portare dei rischi sia per la madre che per il feto, in quanto può determinare un aumento del rischio di aborto precoce, nonché la rottura prematura delle membrane e quindi un parto prematuro, o anche l’endometrite post-partum, un’infezione all’endometrio che provoca malessere e febbre.
Mentre, relativamente al neonato, i rischi riguardano infiammazioni all’apparato respiratorio, agli occhi e alle orecchie.