Il medico legale Valentina Bugelli e l’antropologa forense Francesca Magli, che hanno effettuato l’autopsia, sono arrivate alla conclusione che uno dei due neonati seppelliti da Chiara Petrolini nel giardino della sua casa a Traversetolo, in provincia di Parma ,era ancora vivo. Le relazioni delle due esperte sono state depositate presso la procura di Parma, che sta indagando sul caso.
Il primo neonato non sarebbe deceduto prima del parto ma in un secondo momento. Le due esperte ritengono che il piccolo fosse già venuto al mondo quando la Petrolini, dopo averlo scosso e constatato che non respirava, lo avrebbe messo in giardino. Non è escluso che il bimbo fosse vivo al momento del parto, avvenuto alla 40/a settimana.
La misurazione delle ossa avrebbe rilevato una loro compatibilità con quelle di un neonato di 40 settimane, mentre lo studio sulle gemme dentali che cominciano a formarsi sotto le gengive già dall’ottava settimana di gestazione ,non è del tutto risolutivo, in quanto, per sapere se il neonato fosse vivo alla nascita, occorrerebbe la presenza di una stria neonatale, intesa come una linea di arresto di crescita nello smalto e nella dentina che indicherebbe la vitalità del bambino.
Questa stria non sarebbe stata rilevata per il primogenito ma, se fosse deceduto poco dopo essere venuto al mondo, essa potrebbe non aver avuto il tempo di formarsi. E’ certo, invece, che il secondogenito era vivo al momento della nascita. In queste ore, dunque, anche il decesso del primo figlio verrebbe ricondotto ad un’azione volontaria della Petrolini, parlandosi di «shock emorragico da revisione del cordone ombelicale in assenza di un adeguata costrizione meccanica dei vasi ombelicali».
La Cassazione, tra poco più di un mese, dovrà esprimersi in merito ad uno spostamento della Petrolini dagli arresti domiciliari, alla detenzione in penitenziario. Ancora prima, però, dovranno essere effettuati altri accertamenti, come, ad esempio, la comparazione tra l’impronta del piede di Chiara e alcune tracce ematiche trovate sul luogo, in modo da avere la certezza che la ragazza fosse da sola, e che nessuno l’abbia aiutata.