Moussa Sangare, quella maledetta notte tra sabato e domenica scorsi, dopo essere uscito di casa per provare la sensazione di far del male a qualcuno, ha preso di mira prima due 15enni, poi un uomo che si trovava nell’abitacolo della sua auto con un computer e poco dopo, una persona che stava fumando una sigaretta, sino a decidere di colpire il bersaglio in quel momento più fragile.
Ci riferiamo alla povera 33enne Sharon Verzeni che, con le cuffiette alle orecchie, stava passeggiando nei pressi della sua abitazione. L’ha raggiunta con quattro fendenti, che non le hanno lasciato scampo.
Il gip Mascarino non ha dubbi sul fatto che Moussa, disoccupato, abbia agito per noia, a caccia di “emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo” dell’adrenalina. Ma Sangare, arrestato, ha rotto il silenzio con delle esternazioni davvero aberranti, come avrete modo di vedere.
Riferendosi al coltello con cui ha colpito Sharon, togliendole la vita, interloquendo con la gip di Bergamo Raffaella Mascarino, ha dichiarato: “Non l’ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì. Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo”.
Moussa Sangare, in cella e reo confesso del delitto di Sharon Verzeni, non lo ha gettato nell’Adda, come ha fatto con altri oggetti e indumenti ma lo ha sotterrato nei pressi dell’argine del fiume. Il motivo? Voleva tenerselo come un “souvenir”, come ricordo di ciò che ha commesso. Parole raggelanti, le sue, parole che farebbero rabbrividire chiunque, non credete? Il caso di Sharon Verzeni continua ad essere costellato di dichiarazioni che lo rendono ancora più macabro di quanto, già dall’inizio, lo sia.