Diciotto anni dopo il delitto di Chiara Poggi, un nuovo elemento riaccende l’attenzione sul caso di Garlasco: una traccia genetica maschile senza identità, rilevata grazie alle più moderne tecniche forensi su una garza di stoffa utilizzata all’epoca per i prelievi nel cavo orale della vittima.
Una scoperta che potrebbe portare alla presenza di una terza persona sulla scena del crimine, ma che per ora non rappresenta ancora una svolta concreta nelle indagini. Il materiale genetico analizzato dalla perita Denise Albani su incarico del gip Daniela Garlaschelli ha restituito due cromosomi Y: uno attribuibile a Ernesto Gabriele Ferrari, assistente del medico legale Dario Ballardini che eseguì l’esame autoptico nel 2007, l’altro privo di riferimento anagrafico.
Quest’ultimo, secondo alcuni esperti, potrebbe aprire a scenari finora inesplorati. Ma la comunità scientifica resta divisa. Per alcuni consulenti si tratta di un profilo “robusto, completo, con 22 marcatori”, il che lo renderebbe significativo. Per altri, tra cui l’ex generale del Ris Luciano Garofano – oggi consulente della difesa di Andrea Sempio– potrebbe essere una contaminazione da contatto avvenuta prima del prelievo, magari a causa dell’uso di una garza non sterile.
La dottoressa Albani ha chiesto chiarimenti formali al medico legale Ballardini: perché fu usata una garza in tessuto invece di un tampone sterile? Chi era presente in sala autoptica? Ogni dettaglio potrebbe aiutare a capire se quella traccia sia la chiave per riaprire il caso oppure solo un artefatto tecnico.
Intanto, se non si individuerà l’identità dell’ignoto, si valuterà di estendere i prelievi a soggetti inizialmente esclusi, come operatori funebri, soccorritori e fotografi forensi. E resta ancora un mistero la scena della villetta Poggi: due sedie disposte davanti a una televisione accesa su quello che sembra un videogioco, secondo una ricostruzione di “Chi l’ha visto?”, potrebbero suggerire che in casa ci fosse qualcun altro al momento del delitto.