Bossetti a Belve, la rivelazione dopo anni sul DNA sugli slip di Yara (2 / 2)

Nell’intervista a Belve Crime, trasmessa ieri sera, Massimo Bossetti ha ribadito con fermezza la sua innocenza nel caso Yara Gambirasio, rispondendo alle domande dirette di Francesca Fagnani. Il muratore di Brembate ha tentato di rispondere colpo su colpo alle domande pungenti della conduttrice, che lo ha incalzato per tutto il corso dell’intervista.

Bossetti, vestito con jeans e una camicia a righe, appare molto simile all’uomo visto in tribunale anni fa, ma con i segni del tempo che passa. Definisce la sua condanna un’ingiustizia con cui convive: “Sopravvivo grazie alla forza che traggo dalla mia famiglia. È dura, ma non ho un inferno dentro”.

Tra i momenti di maggiore suspance, quello in cui la giornalista gli ha chiesto: “Come ci è finito il suo Dna sugli slip di Yara?“. La sua risposta, come sempre, è stata netta: “È ciò che vorrei capire anch’io”.

Il Dna resta il punto cruciale: per Fagnani è una prova inconfutabile, per Bossetti “tutto è assurdo”. Sostiene che manchi il Dna mitocondriale, anche se, come spiegato nelle sentenze, quello nucleare – presente – è l’unico determinante per l’identificazione. Bossetti parla anche della sua infanzia «tormentata», segnata da un rapporto difficile col padre e una relazione «morbosa» con la madre. Sul 26 novembre 2010, giorno del delitto, dice solo che fu una giornata «normale», ma non spiega perché il suo telefono risultasse spento.

Quando Fagnani gli ricorda alcune bugie raccontate in passato, replica: “Chi non racconta bugie?“. Infine, c’è il dolore per il tradimento della moglie Marita, scoperto dopo l’arresto: “È la cicatrice più grande”, ammette. Un’intervista che non cambia le carte in tavola, ma che riaccende il dibattito su uno dei casi più controversi della giustizia italiana.