Quali direzioni prenderà Papa Leone di fronte a questioni delicate e urgenti come la pace mondiale e la crescente corsa al riarmo? Il suo intervento dalla plenaria della Roaco ha fugato molti dubbi, lasciando intendere una grande continuità sui contenuti col predecessore Bergoglio.
Leone ha detto un no secco al ricorso alla forza come soluzione gli scontri bellici, così come un secco no alle armi, anche a quelle presentate come ‘difensive’. Solo così facendo, dice, si può costruire una vera pace. Come Papa Francesco, ritiene che il disarmo, la diplomazia, la non violenza attiva, vadano attuate.
Del resto gesti potenti, come quando si inginocchiò a baciare i piedi dei leader sud sudanesi nel 2019 per implorare la fine del civile, o nel suo storico discorso ad Hiroshima, hanno avuto come obiettivo quello di «smilitarizzare i cuori prima che le nazioni». Il nuovo Papa, in continuità con Papa Francesco, ha condannato la prevalenza della forza sul diritto internazionale, aggiungendo che «oggi si investe più nello scontro che nella pace», parlando di una «blasfemia della sicurezza armata», e ha invocato un cambiamento radicale dei modelli di difesa, auspicandosi che si fondi sulla giustizia e sul dialogo tra i popoli.
La denuncia di Papa Leone è fatta teologica e morale nel richiamare figure bibliche come Erode e Pilato, simboli della blità e dell’indifferenza, per descrivere lo scenario globale. E no è stato un caso, in quanto, così facendo, ha voluto richiamare ognuno alle sue responsabilità.
La Chiesa ha intrapreso una strada ben precisa: non occorre limitarsi a denunciare ingiustizie o a formulare appelli generici ma serve un impegno deciso a costruire la pace con azioni concrete, scelte coraggiose , ereditando ciò che Francesco, in 12 lunghi anni di pontificato, ha seminato, in nome della pace e del dialogo tra i popoli.