“Sono stato io”. Queste le parole con cui il barman 30enne Alessandro Impagnatiello, ha confessato dinnanzi ai carabinieri e al pm di aver ucciso Giulia. Una frase che ha ripetuto svariate volte, senza mai piangere, aggiungendo: “L’ho colpita con due o tre coltellate”. Coltellate inferte in parti vitali del corpo che non hanno lasciato scampo alla 29enne e al piccolo che portava in grembo.
L’uomo è in carcere e su di lui pendono accuse pesantissime: omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza senza consenso. Mentre gli inquirenti continuano ad indagare e mentre continuano ad emergere dettagli macabri che rendono l’intero quadro in cui a Giulia è stata tolta la vita sempre più brutale, il barman Alessandro Impagnatiello ha trascorso la sua prima notte nel carcere milanese di San Vittore.
Nei penitenziari esiste un codice d’onore: donne e bambini non si toccano. Basta ricordarsi questo per capire cosa è accaduto al reo confesso sin da quando ha varcato l’ingresso della sua cella. Accuse pesantissime, quelle rivolte dagli altri detenuti nei suoi confronti, sputi, gridi di rabbia e indignazione, definendolo “assassino”.
Tra i detenuti è noto che vengano inferte punizioni esemplari contro i pedofili, gli stupratori e gli assassini, specie quelli di bambini e compagne, per cui si teme il rischio di vendette e ritorsioni tra le mura carcerarie. Una sorta di giustizia che vige tra i carcerati di tutto il mondo, volta a punire chi si è macchiato di reati brutali ai danni dei fragili, di chi non avrebbe potuto difendersi.