"Al liceo mi bullizzavano per come mi vestivo, ora mi seguono in 500 mila" (2 / 2)

Silvia Berri è un  manager affermatissima e ogni sua  iniziativa è un successo, come l’ultima, in cui ha sono accorse più di tremila persone in due giorni, provenienti non solo dal nostro Paese ma anche da fuori, tanto che si parla di “fenomeno Berri, proprio per descrivere  il clamoroso successo che questa imprenditrice e influencer riscuote.

Se oggi Silvia è una donna famosa, affermata, con due lauree e due figlie gemelle, quando era adolescente, le cose non andavano in questo modo. Oggi lei è una manager nel settore elettrotecnico, esperta di comunicazione, ambassador per lo Ieo, influencer da 500 mila  followers,  soltanto su Instagram,  oltre ad essere stata scelta come testimonial e addetta ai social per i Giochi mondiali invernali Special Olympics Torino 2025 e la sua fama è fuori discussione.

Un tempo, invece,  Silvia ha provato sulla propria pelle un fenomeno che, purtroppo, non è affatto facile da debellare, rappresentando una vera e propria piaga,  quello del bullismo.  In occasione del #silviaincontra , un evento davvero molto gettonato, giunto, peraltro, alla 32esima edizione,  a cui partecipano brand scoperti o scelti da lei stessa, Silvia si è raccontata anche in questa parte così straziante.

Quando l’inviato del Corriere le ha chiesto se la sua esistenza  sia  sempre stata così  vulcanica, attiva e seguita, la Berri, senza giri di parole, ha esclamato: “No! Gli anni della adolescenza sono stati una tragedia. Non avevo tante relazioni con i miei compagni, ero considerata quella diversa per come mi vestivo, mi emarginavano appellandomi “l’aristocratica”. Poi, facevo una fatica pazzesca nello studio, soprattutto in greco, ero dislessica senza saperlo (negli anni ’80 non c’era l’attenzione di oggi)”. 

Eppure, il kharma o qualcosa di simile, è giunto anche per lei dopo il bullismo. Come? E’ Silvia stessa, al Corriere, a dircelo: “La svolta è arrivata all’università: un genio. Ho preso due lauree in Scienze politiche e in Lettere e sono diventata assistente. Soltanto che osservavo i miei colleghi 50enni (io ne avevo 23 di anni) ed erano ancora lì dietro al prof senza fare carriera. Pensai: non voglio finire così”.