La strage di Paderno Dugnano continua a far riflettere per l’intensità emotiva e la complessità psicologica che la caratterizzano. Riccardo Chiarioni, appena diciassettenne all’epoca dei fatti, si è reso protagonista di un gesto che ha profondamente segnato la comunità in cui viveva e l’opinione pubblica nazionale. In quella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, in una tranquilla villetta della provincia milanese, qualcosa si è incrinato definitivamente nel suo equilibrio interiore, portandolo a compiere un atto su cui oggi si interrogano magistrati, psichiatri e familiari.
Il processo in corso presso il Tribunale per i minorenni di Milano non è solo un momento di giustizia formale, ma anche un’occasione per cercare di comprendere le ragioni che possono aver spinto un ragazzo a un simile gesto. La Procura ha chiesto una condanna a venti anni, considerando la premeditazione e altri elementi aggravanti prevalenti sul vizio parziale di mente rilevato da una prima perizia.
La difesa, dal canto suo, ha presentato un quadro molto diverso, avvalendosi di una valutazione psichiatrica che delinea la presenza di un disturbo profondo, tale da compromettere completamente la lucidità dell’imputato al momento dei fatti. Ciò che emerge è un quadro psicologico articolato. Riccardo, secondo i periti, sarebbe vissuto per lungo tempo in una dimensione interiore distaccata dalla realtà, cercando rifugio in un universo immaginario da lui stesso definito come “immortalità”.
In questo spazio mentale alternativo, il legame con il mondo reale appariva sfilacciato, i rapporti familiari percepiti come ostacoli e la quotidianità priva di riferimenti rassicuranti. Nei verbali, il giovane ha parlato di un desiderio di “ricominciare da capo”, quasi volesse cancellare ogni traccia del passato per reinventarsi altrove. L’occasione che ha segnato il passaggio dal pensiero all’azione è stata la serata dedicata al compleanno del padre. Un momento teoricamente sereno si è trasformato per Riccardo in un punto di non ritorno, un passaggio chiave in un processo interiore tormentato e difficile da decifrare. Il contesto familiare e le dinamiche relazionali, tuttora oggetto di analisi, si inseriscono in questo percorso delicato e complesso, che ha visto anche l’attivazione di un iter terapeutico dedicato da parte del Tribunale, a conferma della necessità di intervenire sul piano clinico e relazionale,
Significativa è la posizione della famiglia allargata, che continua a mostrare una presenza silenziosa ma costante nella vita del ragazzo, cercando di tenere uniti i frammenti di un legame profondamente messo alla prova. Questo atteggiamento sottolinea quanto, anche nei momenti più difficili, possano emergere forme di vicinanza inaspettate e un desiderio di ricostruzione. La vicenda continua a suscitare interrogativi su come la giustizia e la società possano affrontare situazioni in cui i confini tra responsabilità, fragilità mentale e contesto affettivo appaiono sfumati. Ed è proprio da questi interrogativi che parte una riflessione più ampia sul ruolo delle istituzioni, sulla prevenzione e sulla necessità di ascolto verso il disagio psicologico giovanile.