Ci sono tragedie improvvise che ti distruggono per sempre. La peggiore, secondo me, è la morte di un figlio. Se la cronaca ci sta riportando alla luce, sempre più spesso, casi di piccoli uccisi per mano dei loro genitori o parenti che, più di tutti avrebbero dovuto proteggerli, in altri casi i genitori, nonostante il troppo amore verso la loro prole, finiscono con l’auto colpevolizzarsi.
La perdita di un figlio è come se fermasse il tempo. Bastano pochi attimi per inghiottire il passato e il futuro, cercando di sopravvivere ad un dolore così lacerante, vivendo del profumo del proprio figlio deceduto, ancora impresso sugli ultimi indumenti indossati, guardando le sue foto, tenendo stretto forte a sé il cuscino su cui ha dormito per la sua ultima volta.
Perdere un figlio, per molti, è qualcosa di innaturale e mai nessuno può dire di essere davvero preparato o pronto per affrontare un evento così straziante. Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, ha dichiarato che la perdita di un figlio “è un’esperienza talmente devastante che toglie il senso della vita a chi l’ha sperimentata”.
La morte non risparmia nessuno, non fa distinzione tra ricchi e poveri, tra chi, apparentemente, è più fortunato e chi, invece, non lo è, perché tutti sono messi sullo stesso piano. Non è importante che si tratti di vip, di personaggi da red carpet, o di comuni mortali. Il dolore è analogo.
Così come il senso di vuoto incolmabile, di colpevolizzazione per non essere riusciti ad evitare il peggio, in caso di morte improvvisa e non legata da una lunga malattia.